Raffica di condanne anche nel giudizio d’Appello del processo “Carminius”, sulla ’ndrangheta a Carmagnola e nel Torinese, che vedeva imputate anche persone ritenute appartenenti al clan Bonavota di Sant’Onofrio in Calabria. La sentenza è stata emessa dal giudice torinese arriva dopo un anno dalla sentenza di primo grado emessa dal giudice del tribunale di Asti. La vicenda trae origine dal blitz dei ROS dei Carabinieri e Guardia di Finanza che aveva bloccato Carmagnola il 18 marzo del 2019.
In tutto 16 condanne emesse dai giudici di secondo grado di Torino, che hanno modificato sostanzialmente la sentenza di primo grado. Tra i nomi più pesanti per la città, oltre a quelli legati alla famiglia Arone, spiccano Nicola De Fina, 10 anni con interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e libertà vigilata per un anno a pena espiata e Antonino Buono, 13 anni e sei mesi con interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e libertà vigilata per un anno e sei mesi a pena espiata. Entrambi erano stati assolti in primo grado.
Sono tenuti al risarcimento danni nei confronti delle parti civili – Regione Piemonte, Comune di Carmagnola e l’associazione “Libera” – anche per quanto riguarda il precedente processo. Buono dovrà anche pagare un risarcimento danni all’attuale vicesindaco di Carmagnola, Alessandro Cammarata, per ora quantificato in 5.000 euro (salvo ulteriore decisione del tribunale civile), oltre a 11 mila euro di spese legali relative ai due gradi di giudizio. Altro imputato condannato dopo l’assoluzione in primo grado è Alessandro Longo (8 anni e 6 mesi), imprenditore del settore automobilistico.
A far più rumore è la condanna del re dei videopoker di Carmagnola, Antonino Buono: 13 anni e 6 mesi dopo l’assoluzione in primo grado. Ma è in generale la sentenza di appello del processo a rappresentare un colpo durissimo per il clan Bonavota di stanza nella cintura sud di Torino. Una cosca potente che ha colonizzato questa parte di Piemonte partendo da Sant’Onofrio. Una storia che si lega a doppio filo con l’attuale vicesindaco Alessandro Cammarata, sotto scorta per anni dopo gli incendi delle sue vetture sui quali gli investigatori hanno sempre ritenuto responsabili chi voleva comandare con la forza in città.
«Non dobbiamo mai abbassare la guardia contro le organizzazioni criminali – dice Cammarata – Tutti insieme dobbiamo scoperchiare quella “area grigia”, quello spazio opaco in cui prendono forma relazioni di collusione e complicità con le mafie, coinvolgendo un’ampia varietà di attori, diversi per competenze, risorse, interessi e ruoli sociali». Già, lo spazio opaco, quello che gli investigatori durante le indagini sottolinearono essere molto forte in città anche a causa della diffusa omertà quando si parlavano di alcuni personaggi.
Gli imputati hanno dichiarato che andranno al terzo grado di giudizio e sarà la Cassazione ad emettere la sentenza definitiva.