Proprio mentre scrivo l’editoriale del mese, è terminata la giornata del presidente Ucraino Zelensky a Roma. Una giornata intensa in cui ha incontrato il Presidente Mattarella, la premier Meloni e altri esponenti del governo italiano. Ma la visita più attesa era al pomeriggio, con Papa Francesco. Un’udienza privata che aveva l’obiettivo di arrivare concretamente e in tempi molto rapidi ad un cessate il fuoco, con una attenzione particolare all’emergenza umanitaria di bambini e famiglie. Al termine dell’incontro un comunicato piuttosto cauto della Santa Sede ha evidenziato che i temi del colloquio “sono riferibili alla situazione umanitaria e politica dell’Ucraina provocata dalla guerra in corso” e il Papa “ha assicurato la sua preghiera costante, testimoniata dai suoi tanti appelli pubblici e dall’invocazione continua al Signore per la pace, fin dal febbraio dello scorso anno”. Dall’altra le parole di Zelensky che è intervenuto subito dopo l’incontro con Francesco a “Porta a Porta” e dove ha sottolineato che “Vittima e aggressore non possono essere messi sullo stesso piano” e che se una soluzione per la pace va trovata questa deve accontentare prima di tutto Kiev. Alla fine, al di là delle dichiarazioni di rito, l’incontro tra i due ha certificato che sulla pace le posizioni sono ancora distanti. Un conflitto in cui non sembra esserci ancora all’orizzonte una volontà di soluzione, e in cui i rifornimenti di armi continueranno ad arrivare dai Paesi occidentali al presidente dell’Ucraina per contrastare i progetti folli del gerarca russo.
Ma appare comunque strano che ogni sforzo concreto per trovare una soluzione di pace venga rigettato al mittente, mentre molti Paesi che stanno sostenendo il Governo di Zelensky in questa legittima difesa dall’invasione russa, iniziano a fare progetti per la rico[1]struzione in Ucraina. Ad aprile il governo Meloni ha indetto una conferenza bilaterale sulla ricostruzione in Ucraina presso il Palazzo dei Congressi all’Eur: “Un momento di confronto, incontro e scambio tra i principali attori e leader industriali ed economici del Paese per poter da subi[1]to collaborare in modo rapido pratico e concreto alla rinascita e ricostruzione dell’Ucraina, così duramente e ingiustamente colpita dal tentativo di invasione da parte della Russia”.
E proprio su questa guerra “senza senso” come tutte le altre guerre e su questo “dibattito” sulle difficoltà nel ricercare la pace per il conflitto ucraino, vorrei ricollegarmi a quello che quasi sessant’anni fa diceva e scriveva don Lorenzo Milani, il sacerdote di un piccolo borgo in provincia di Firenze. Lo voglio ricordare in quanto tra pochi giorni (27 maggio) sarà il centenario della sua nascita, e come anticipato lo scorso numero, il Corriere di Carmagnola è stato tra i promotori di un Comitato spontaneo di associazioni carmagnolesi.
L’obiettivo è quello di far conoscere la figura di questo sacerdote di cui Papa Francesco nel 2017, andando a pregare sulla sua tomba a Barbiana, disse: “Pregate per me perché anche io sappia prendere esempio da questo bra[1]vo prete”. Potrete trovare una pagina a lui dedicata in questo numero (a pag. 41). Don Milani, tra le tante questioni, fu processato per aver scritto e diffuso nel febbraio 1965 una lettera aperta ad alcuni cappellani militari in congedo che avevano insultato gli obiettori di coscienza, lettera in cui il priore e maestro di Barbiana denunciava gli orrori della guerra e i crimini di chi la promuoveva, e difendeva gli obiettori di coscienza; per quella lettera pubblicata su un periodico don Milani fu processato, e non potendo presentarsi all’udienza fissata per il 30 ottobre 1965 perché da tempo gravemente malato scrisse una lettera ai giu[1]dici che insieme a quella ai cappellani e ad altri documenti è stata poi pubblicata in un libro dal titolo “L’obbedienza non è più una virtù”.
A quei tempi chi non voleva svolgere l’obbligatorio servizio militare, aveva un’unica soluzione: il carcere. Sarà poi nel 1972 che lo Stato Italiano riconoscerà il diritto all’obiezione di coscienza e al servizio civile. Don Milani nella lettera polemizzava con l’uso del concetto di patria, che ha legittimato armi “che sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove”, rivendicando la lotta nonviolenta dei poveri. Ripercorse le guerre combattute dall’Italia, dove, in nome della patria, si sono permesse tante morti e massacri, servendosi del concetto di obbedienza: “Quella obbedienza militare che voi cappellani militari esaltate senza nemmeno un distinguo che vi riallacci alla parola di san Pietro: «Si deve obbedire agli uomini o a Dio?». E intanto ingiuriate alcuni pochi coraggiosi, che sono finiti in carcere, per fare come ha fatto san Pietro…Aspettate a insultarli. Domani forse scoprirete che sono dei profeti. Certo il luogo dei profeti è la prigione, ma non è bello stare dalla parte di chi ce li tiene”. Forse oggi sono ancora pochi i profeti di pace, e anche se Papa Francesco è il primo e più autorevole, il cuore degli uomini, come al tempo di don Milani, non è ancora pronto per un mondo di pace.