Lo avevamo anticipato lo scorso numero: Carmagnola è diventata una città “interessante” per molti colossi della logistica internazionale. E se Conad costruirà il nuovo Polo vicino a quello della Lidl, dove è permesso dall’attuale Piano Regolatore comunale, una grande azienda del commercio on line, secondo le nostre fonti, si sta preoccupando di acquistare terreni agricoli a ridosso dell’autostrada per costruire il suo nuovo centro logistico. Al momento nulla di certo e i politici locali hanno dichiarato che sono “solo chiacchiere da bar” ma il tema è stato ripreso nell’ultimo consiglio comunale del 2022 in cui si è dibattuto per ore su una mozione presentata da Carmagnola Civica e Partito Democratico,
“Sul corretto calcolo dei costi in termini ambientali derivanti dal consumo di suolo agricolo ormai dilagante”. Vorrei soffermarmi su questa “fame di terra” come ho scritto in copertina, in quanto è un processo che non interessa solo la nostra città ma tutto il mondo. E come capita per questi “grandi temi” è stato coniato un termine inglese. Il “land grabbing”, in italiano accaparramento di terra: un discusso fenomeno economico e geopolitico di acquisizione di terreni agricoli su scala globale, venuto alla ribalta negli ultimi decenni.
Un fenomeno che, come dice Wikipedia “Riguarda gli effetti di tali pratiche di acquisizione su larga scala nei paesi in via di sviluppo, che si realizzano mediante affitto, o acquisto, di grandi estensioni agrarie da parte di imprese transnazionali, governi stranieri, o singoli soggetti privati”. Anche se sembra un fenomeno lontano da noi, in realtà la nostra città sta vivendo proprio questa emergenza. Infatti con l’autostrada che ci passa in casa e che collega il nord Italia con il porto di Savona e la “futura tangenziale” che dovrebbe dare una risposta al traffico (anche se è ancora lontano l’inizio dei lavori), i terreni del famoso “Peperone di Carmagnola” sembrano interessare alcuni industriali che parrebbero disposti a fare follie pur di accaparrarsi questi terreni.
Ma noi ci dimentichiamo della storia della nostra città, in quanto Carmagnola ha già vis[1]suto una simile situazione e ne ha pagato le conseguenze. Erano altri anni, altri tempi, e altre sensibilità ma quando all’inizio degli anni ‘60 il colosso italiano FIAT decise di aprire una fonderia della ghisa sulle terre dei peperoni di Carmagnola la situazione era la stessa. Fu una decisione storica che cambiò la vita sociale e ambientale della città, e che ancor oggi, la condiziona nonostante tale insediamento industriale sia stato chiuso nel 2001.
Chi non ricorda la polvere rossa che si depositava su macchine e campi coltivati quando si apriva il camino del cubilotto, o quando i contadini hanno dovuto ri-trivellare i propri pozzi dei campi andando a cercare la falda che si era abbassata di decine di metri dopo che la fabbrica attingeva l’acqua dal terreno per raffreddare i propri impianti? Ricordo che quando, bambino, andavo ad aspettare mio papà che usciva dal turno “normale” vicino al passaggio a livello di via Rubatto, vedevo da un lato le piante officinali della distilleria dell’Alpestre e dall’altra le serre dei peperoni, proprio vicino ai palazzi del sole che erano stati costruiti per le migliaia di operai di cui la FIAT aveva bisogno.
Oggi questo scenario non è più lontanamente pensabile, anche perché i nuovi insediamenti industriali fanno delle tecnologie il loro cavallo di battaglia. I nuovi poli logistici che verranno costruiti saranno gestiti dalle più avanzate tecnologie dell’automazione industriale, molto più attente al problema ambientale e con un controllo degli enti preposti sempre maggiore. Ma ciò non toglie che la “Fame di Terreno” continua a chiedere metri quadri di terra carmagnolese. Ed è legittima la domanda: “Perché non si bonificano gli insediamenti dismessi come il sito della ex fonderia e del centro sportivo al suo fianco ormai “rottami” di un passato che non tornerà più? Non sono un economista industriale ma basta poco nel capire che “bonificare” un sito come quella della Ghisa, a patto che il proprietario sia disponibile alla vendita, costerebbe molto di più che comprare nuovi terreni. Solo chi ha vissuto la “Fonderia” sa cosa c’è sotto quel terreno e nei terreni vicini dove per decenni sono state interrate le “terre di fonderia”. Fanno bene le organizzazioni ambientali e di settore a protestare che prima di usare nuovi terreni si proceda ad una “ricollocazione” di quelli dismessi.
Ma occorre che siano gli enti preposti (Governo, Regione e Comuni) ad obbligare queste “bonifiche” prima di procedere con nuovi insediamenti. Se non ci sono “obblighi” conviene di più comprare terreno “vergine”, pagandolo anche il doppio del suo valore commerciale, e costruirci sopra. Certo è che questo proliferare di insediamenti ha le sue conseguenze e in parte le stiamo già vivendo: aumento del traffico dei mezzi pesanti, aumento dell’inquinamento, poca occupazione in rapporto all’estensione degli insediamenti e irreversibilità della cementificazione.
Tutte conseguenze che hanno fatto infuriare perfino la Coldiretti di Torino. Il sindaco ha dichiarato in consiglio che: “La vocazione agricola di questo territorio è sicuramente forte e nessuno vuole intaccarla. Il problema non è non avere più terreni da coltivare, grazie al cielo, il problema è avere agricoltori che coltivino il terreno e questo è un problema davvero sentito. La città ha un’estensione, una popolazione tale da sopportare diversificazioni; quindi ci sarà un’area industriale, ci sarà un’area commerciale, un’area servizi che necessariamente si svilupperanno e Carmagnola manterrà un’area agricola forte”. Questa è la speranza, che Carmagnola rimanga “la città del Peperone” e che oltre ai nuovi tecnici per i Poli logistici nascano anche nuovi agricoltori. Ma le azioni politiche per realizzare queste promesse spettano soprattutto ai politici. Vedremo cosa ci riserverà il futuro e quale coinvolgimento avranno i cittadini di Carmagnola in queste decisioni che condizioneranno gli anni a venire e le nuove generazioni