Sono state oltre duecento le persone che nella serata di lunedì 27 giugno hanno partecipato alla processione che dal piazzale di san Michele si è spinta fino al Po. E’ stata una iniziativa dei parroci di Carmagnola, don Dante, don Giovanni e don Josif che hanno detto: “Accogliendo la preoccupazione dei coltivatori della terra, degli allevatori e delle loro famiglie e della popolazione in queste settimane di siccità, ci siamo recati nel territorio agricolo del nostro Comune a pregare processionalmente il santo Rosario e le “Rogazioni” per il dono dell’acqua, per il saggio utilizzo di questo bene vitale, per quanti soffrono il dramma della mancanza di risorse idriche, perché la provvidenza di Dio venga in aiuto alla nostra debolezza. Abbiamo quindi pregato e invitato a pregareper la pace ( le tonnellate di grano in Ucraina che non possono essere distribuite), per la pioggia, per i frutti della terra, per la salute… facendoci pellegrini per pregare Maria”. Il giorno successivo è caduta un po’ di pioggia, senza fare disastri, non risolutiva ma comunque gradita.
Ma cosa sono state a Carmagnola le Rogazioni?
Le Rogazioni erano celebrate nel borgo di San Michele e Grato fino alla fine degli anni ’50. Erano queste delle particolari cerimonie che si effettuavano in aperta campagna, appoggiandosi alle varie cappelle presenti nel borgo, per ottenere la grazia divina sui raccolti. Le Rogazioni sono quasi sicuramente la trasposizione cristiana di antichi riti pagani quando, negli stessi periodi, si andava nelle campagne con marchingegni rumorosi per scacciare gli spiriti cattivi e propiziare buoni raccolti. Nel borgo di San Michele e Grato le Rogazioni si facevano secondo il calendario ufficiale; la prima detta di San Marco si svolgeva il 25 aprile e la cappella deputata era quella dedicata a San Lorenzo e San Marco. La seconda durava tre giorni e si svolgeva il lunedì, martedì e mercoledì che precedevano la festa dell’Ascensione. La sequenza era: il primo giorno a San Grato, il secondo giorno a San Giacomo e il terzo a San Pancrazio. In quei giorni ci si alzava di buon mattino, si partiva in processione dalla chiesa parrocchiale e si raggiungeva la cappella di destinazione. Un percorso che si ripeteva identico ogni anno. In testa il prete con i chierichetti, dietro, le donne, i bambini e in fondo gli uomini. Il prete intonava litanie particolari ed il coro rispondeva a tono con partecipata devozione. Il percorso era studiato in modo che tutto il territorio della parrocchia potesse, sia pure a distanza, essere visto. Quando si arrivava alle cappelle la processione si fermava. Allora il prete alzava la croce e rivolgendosi ai quattro punti cardinali cominciava: “A folgore et tempestate”(ossia dalle folgori e dalla tempesta) e tutti gli altri inginocchiati a terra rispondevano “Libera nos Domine”(ossia Liberaci Signore), mentre lo sguardo d’ognuno andava verso il proprio campo dove s’era seminato. Poi altre implorazioni (rogazioni): “A peste, fame et bello”(ossia dalle malattie, dalla fame e dalla guerra) e la gente sempre a rispondere “Libera nos Domine”. E così ad ogni fermata.
A metà degli anni ’90 il parroco di San Michele don Domenico Cravero istituì le “Tempora” riti ecclesiastico/propiziatori che si svolgevano ad ogni inizio di stagione. Il 21 marzo, al mattino presto, i fedeli si ritrovavano alla cappella di san Pancrazio e da qui in processione procedevano verso l’aperta campagna fino ad un cespuglio di biancospino dove venivano letti salmi e recitate preghiere. All’inizia dell’estate si sceglieva una domenica per ripetere il rito della Tempora in un cascinale con la simbolica raccolta del grano per produrre il pane. In autunno il rito si ripeteva con l’uva che diventava il vino utilizzato nel corso di tutto l’anno per le sante messe. L’inizio dell’inverno celebrava la festa della luce che illumina le tenebre, non solo delle giornate più corte ma soprattutto le tenebre dell’anima. Dopo una decina d’anni anche il rito delle Tempora è stato sospeso.
Maresita Brandino