Nell’editoriale di questo mese volevo riflettere sul risultato del referendum (sono uno di quelli che è andato a votare perché anche io ritengo il voto un diritto e un dovere di ogni cittadino che non va mai sprecato anche quando un Parlamento serio avrebbe dovuto legiferare in tale materia) e sul mese della cultura che ormai da anni si svolge a Carmagnola. Ma a mezzogiorno di venerdì 10 giugno, poco prima di chiudere questo numero di giugno, il presidente del Tribunale di Asti Alberto Giannone ha letto la sentenza di primo grado del processo Carminius, e quindi i miei pensieri hanno deviato “percorso”.
Vi proporrò le mie prime riflessioni perché la sentenza di questo processo, durato un anno e 11 mesi, ha bisogno di essere “assorbita” e analizzata a fondo. È stato il processo più lungo e importante nella storia della città di Carmagnola. Già perché non passerà certo di mente molto facilmente la mattina del 18 marzo 2019 quando 400 agenti di polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza insieme ad un elicottero e unità cinofile, misero sotto “assedio” la città del peperone.
Ma non dimenticherò neanche il 9 luglio 2020 quando in una calda estate è iniziato il processo “Carminius” e dalle pagine del giornale che dirigo, chiedevo alla città di “Non dimenticare”. Ora si è chiuso un capitolo di una storia che ha fatto parlare molto la città, che ha coinvolto molte persone e le loro famiglie e che continuerà a coinvolgerle, visto che per molti si sono aperte le porte del carcere.
80 udienze tra l’aula bunker delle Vallette e l’aula del Tribunale di Asti, 39 imputati, decine di avvocati che hanno sentito fiumi di parole e scritto volumi di documenti per raccontare e dimostrare la forza del clan di ‘ndrangheta presente proprio a Carmagnola e i legami con settori dell’imprenditoria e della politica. Un gruppo collegato alla cosca calabrese di Vibo Valentia dei Bonavota. Al vertice di questo clan i fratelli Arone, alcuni sono stati condannati a pene tra i 15 e i 18 anni e poi molte altre pene che abbiamo raccolto nell’articolo a pagina 4.
In sostanza la Corte ha dato ragione in buona parte alla tesi dei due PM Paolo Toso e Monica Abbatecola che hanno fatto emergere come a Carmagnola ci fosse una ramificata cosca dell’ndrangheta calabrese che operava in tutto il Piemonte. Infatti in questo processo è confluito il procedimento a carico dell’ex assessore della Giunta Regionale ed esponente di Fratelli d’Italia Roberto Rosso, che è stato ritenuto colpe[1]vole di voto di scambio politico mafioso.
Ma quello che mi ha molto colpito è stata la requisitoria dei due PM, quando dopo aver chiesto per gli imputati oltre 300 anni di carcere, Toso si rivolge ai giudici e dice: “Una delle espressioni più ricorrenti che avete sentito dai testi è che Carmagnola è un paese piccolo, tutti sanno tutto. Quindi la cosca Bonavota esisteva ed esiste e la società civile se la trova di fronte tutti i giorni”. Poi gli avvocati parlano di “omertà” di come i carmagnolesi tollerassero questa presenza e anzi in alcuni casi si rivolgessero a loro per piccoli servizi. Insomma, noi carmagnolesi, secondo quanto emerso dalle testimonianze, saremmo una città di omertosi.
La sentenza di venerdi 10 giugno ha anche sancito rimborsi pecuniari a chi si è costituito parte civile. Infatti al Comune di Carmagnola è stato riconosciuto un indennizzo di 250.000 euro, a “Libera” l’associazione di Don Luigi Ciotti (cittadino onorario di Carmagnola) che si batte contro le mafie 100.000 euro e 75.000 a Fratelli d’Italia. Ma se molti anni di condanne sono stati dati, vi sono state anche alcune assoluzioni, tra queste quella di Antonino Buono, che è stato assolto per non aver commesso il fatto ed è stato subito scarcerato, dopo essere stato in carcere ad Ancona per oltre tre anni. I giudici non hanno accolto le tesi dei PM che hanno dichiarato come “I formali proprie[1]tari delle attività (del gioco d’azzardo di Carmagnola ndr) si relazionano con Tonino Buono non per guasti, non per problemi manutentivi ma per problemi gestionali derivanti dalle verifiche, quindi considerato partner effettivo delle attività.
Ma il tema oggetto delle polemiche e delle auto bruciate al vicesindaco e all’assessore era l’applicazione della legge regionale con le restrizioni comunali che ne derivavano”. Quindi dopo tutti questi anni, non è ancora emerso perché sono bruciate l’auto del[1]l’allora vicesindaco Inglese e le due auto dell’assessore Cammarata, perché secondo i giudici non è questo il motivo. Un procedimento molto lungo e molto complicato, che ha fatto emergere una “Carmagnola” diversa da quella che in questi giorni si riversa nelle strade della città e che si ritrova nei diversi punti della città in cui si parla di cultura.
Emerge dalle parole dei PM una città “omertosa e impaurita, dove tutti sanno che esiste il crimine ma nessuno parla, anzi si chiedono piccoli favori e protezioni da questa cosca”. Ora leggerò le carte del processo, leggerò in profondità le ragioni della sentenza quando verranno depositate le motivazioni. Cercherò di capire, cercherò di scindere le cose che succedevano a Carmagnola da quelle che succedevano in altre città, cercherò di trovare il perchè a quelle domande che non hanno avuto una risposta. Cercherò di capire perché in 56 anni non mi sono accorto di vivere in una città di ‘ndranghetisti, mentre pensavo che la nostra città fosse una bella città in cui si viveva bene. Voglio capire se con quei 250.000 denari riusciremo a recuperare quell’immagine di “Bella città” che alcuni protagonisti di questa vicenda hanno distrutto. Attendiamo la sentenza della storia e poi si vedrà, perchè la verità viene sempre a galla.