Il carmagnolese, della borgata di San Bernardo, Domenico Agasso, giornalista vaticanista de “La Stampa”, segue da più di 3 anni il Papa, ha da sempre in dote anche l’altra sua grande passione e professione: quella di autore di libri a sfondo religioso e sociale.
È infatti uscita la sua ennesima opera, edita dalla casa editrice nazionale Rubbettino editore. Si tratta del libro “Senza Pastori? La crisi delle vocazioni e il futuro delle parrocchie”, tema oltretutto di strettissima attualità, i cui argomenti chiave e curiosità sono anche tratti da fonti ufficiali, interviste da articoli di Agasso pubblicati sul quotidiano principe di Torino. Il libro è un’attenta analisi contemporanea, ma al tempo stesso ‘futuribile’ della Chiesa. L’autore lo etichetta come una raccolta – saggio, fatta di colloqui e documenti inerenti questo campo.

Mi racconta come mai la scelta sia caduta su questo tema?
«È nata su richiesta dell’editore, appurando l’esistenza del fenomeno sempre più frequente di parrocchie senza più il parroco “tutto per sé”: nel senso che devono condividerlo con altre parrocchie. L’argomento è quanto mai attuale e, da ricerche, suscita notevole interesse. Nel libro emerge quindi il rapporto fra Chiesa e contemporaneità, rivelando in particolare testimonianze rinvenute nel triennio 2019-2020-2021. Lo sguardo si pone tuttavia verso il futuro, in una comunità cristiana costretta davvero a guardare avanti, con alternative come i laici e guide femminili a far le veci del sacerdote (non ovviamente per ciò che riguarda i sacramenti). Il dibattito prosegue anche constatando la crescente richiesta di dare la possibilità ai preti di sposarsi e alle donne di diventare sacerdotesse. E poi, il libro vuole evidenziare gli aspetti sociali e “politici” della Chiesa, andando oltre la visione puramente religiosa. La mia opera parte con un riferimento al classico sacerdote di paese della nostra epoca, che però progressivamente sta svanendo a causa del continuo calo di vocazioni».
A un anno dal viaggio in Iraq con il Papa, come si è evoluto il suo percorso giornalistico con lo stesso Pontefice?
«Pochi giorni dopo quell’evento memorabile, è uscito il mio libro intervista con Papa Francesco “Dio e il mondo che verrà” (edito da Piemme-Lev), che è stato anche tradotto in varie lingue in molti paesi del Mondo: per me è un traguardo meraviglioso per il mio percorso professionale. Lo scorso luglio abbiamo vissuto la preoccupazione per l’operazione al Pontefice, per fortuna riuscita. A settembre l’esperienza dell’ennesimo viaggio al suo seguito a Budapest e in Slovacchia, a dicembre invece Cipro e Grecia. Qui la giornata che mi ha toccato letteralmente il cuore è stata quella nel campo profughi e rifugiati di Lesbo, in mezzo a drammi indicibili che coinvolgono e devastano la vita di centinaia di bambini, ragazzi, famiglie. Poi, sempre a dicembre, un’altra intervista esclusiva con Papa Francesco, che ha svelato tanti teneri ricordi della sua infanzia. Ultimo in ordine di tempo vi è l’impegno attuale del Papa nel lanciare messaggi di pace e bloccare le bombe russe in Ucraina».
Come sta il Papa? E come sta vivendo il periodo di una pandemia che sembra stia per finire e una nuova guerra in corso?
«Sta bene, ha solo qualche acciacco dovuto all’età (85 anni), un ginocchio che a volte fa male e talvolta qualche dolorino dopo l’ultimo intervento ospedaliero. Ma è molto determinato a proseguire la sua missione di fede e di Pastore della Chiesa universale. I prossimi 2 e 3 aprile sarò con lui a Malta. Abbiamo ammirato la sua forza d’animo e la sua umiltà di recarsi di persona all’ambasciata russa presso la Santa Sede per invocare, tramite l’ambasciatore, il “cessate il fuoco” alla Russia».
Un giudizio sul nuovo arcivescovo Roberto Repole, che apprendo abbia avuto l’onore di intervistare per primo per “La Stampa”.
«Posso dire che è una persona molto aperta all’ascolto, con grande capacità di empatia e che manifesta profonda fede e spiritualità. Lui, molto giovane, 55 anni, sente la grande responsabilità di guidare un’arcidiocesi così grande e importante come la nostra, ma la sta affrontando fin dall’inizio con grande entusiasmo e gioia, per la fiducia che ha riposto in lui Papa Francesco scegliendolo come Arcivescovo di Torino, e perché è ben consapevole che la chiamata viene da Dio».