Mentre metto insieme queste poche righe come ogni mese, mi sto domandando cosa portare alla vostra attenzione nel mio scritto. Lo so, siete in tanti che leggete questo spazio e quindi mi sento addosso il peso e la responsabilità di proporvi sempre qualche nuovo spunto di riflessione.
Scrivere questo editoriale non è facile, perché è un articolo di opinione e non di cronaca o di avvenimenti. Insomma occorre metterci dei contenuti per poter far riflettere chi legge. Normalmente ci penso 4 settimane, il periodo di tempo che passa tra la pubblicazione di un numero e l’altro, e accade spesso che l’argomento arrivi quasi all’ultimo minuto. E così, anche questo mese mentre stavo iniziando a scrivere il pezzo, mi sono imbattuto in una notizia che vorrei condividere con voi.
Come tutti sapete in questi ultimi giorni si è svolta la 26a Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite a Glasgow. L’assemblea dei maggiori Paesi del mondo che si sono riuniti in questa bella città della Scozia alla ricerca di provvedimenti sostanziali per cercare di contenere e contrastare il cambiamento climatico, in quanto come ha dichiarato il premier inglese Johnson “Ci troviamo ad un minuto dall’apocalisse”.
E così nelle stanze del palazzo in cui si svolge l’assise si è iniziato a parlare di cosa fare e di quali conseguenze ci potrebbero essere se non si fa qualcosa per cambiare rotta. Finché in una delle diverse sessioni della discussione si è collegato in videoconferenza Simon Kofe, Ministro degli Esteri di Tuvalu, un minuscolo arcipelago tra l’Australia e le Hawaii, nel cuore dell’Oceano Pacifico. E il suo collegamento ha destato l’attenzione più di tutte le parole spese fino a quel punto. Infatti il ministro di queste piccole isole si è collegato in mezzo al mare, dimostrando non solo a parole ma nei fatti come, se non si prendono adeguate contromisure, l’innalzamento dei mari avrà come conseguenza la cancellazione di molti stati e città, tra cui le isole che amministra.
Ci dicono infatti gli scienziati che, se non si decide affrontare il tema in modo radicale, nei prossimi decenni potremmo avere l’innalzamento dei mari fino a quasi 1 metro rispetto a oggi. Ma se le isole Tuvalu sono molto lontane, contano solo 11.000 abitanti e quindi potremmo pensare che l’emergenza non ci tocchi, occorre ricordarsi che con questi scenari, i mari che circondano la nostra Italia nel 2100 si innalzeranno tra i 41 e gli 87 cm e nel 2150 la situazione potrebbe essere ancora più difficile, con le previsioni che vanno dai 61 centimetri a quasi 2 metri di altezza.
Questo comporterebbe la cancellazione di quasi tutte le coste italiane e quindi addio non solo “alle ferie al mare”: molto di coloro che vivono sulle coste sarebbero costretti a trovare una nuova sistemazione, perché sparirebbero molte città. Ma questa è solo una previsione, e come spesso accade, finché non “si tocca con mano” non riusciamo a credere che possa realmente accadere.
Così anche i grandi della terra, dopo l’incontro, hanno siglato diversi documenti di impegno e di finanziamento per contrastare queste nefaste conseguenze. Ma come si dice “di buone intenzioni è lastricata la strada dell’inferno”: la politica sembra sempre più inadeguata a prendere decisioni efficaci e coerenti con la gravità degli allarmi lanciati degli scienziati. Allarmi che fino a quando non “condizioneranno” in modo inequivocabile il nostro modo di vivere, continueremo a gestire con le buone intenzioni.
Una sistematica abitudine ai proclami che spesso rimangono “sulla carta”. Un po’ come è successo nel primo Consiglio Comunale di questa nuova amministrazione, che ci guiderà per i prossimi 5 anni. Tante parole di circostanza e tanti propositi per i prossimi anni per lavorare insieme, maggioranza e opposizione per il bene della città. Sia a Glasgow che a Carmagnola ci auguriamo tutti che non siano solo parole di circostanza, in quanto chi ne pagherà le conseguenze, in entrambi i casi, saranno solo i cittadini, che non hanno bisogno di buone intenzioni, ma di fatti.