Il 3 maggio scorso si è celebrata la Giornata Internazionale per la Libertà di Stampa, istituita nel 1993 dall’Assemblea delle Nazioni Unite. Fu scelto questo giorno per ricordare il seminario dell’Unesco tenutosi dal 29 aprile al 3 maggio 1991 a Windohek (Namibia). Questo convegno portò alla redazione della “Dichiarazione di Windhoek”, un documento nel quale si affermano i principi in difesa della libertà di stampa, del pluralismo e dell’indipendenza dei media come elementi fondamentali per la difesa della democrazia e il rispetto dei diritti umani.
Come ogni anno, in occasione di questa giornata, Reporters Sans Frontières (un’organizzazione non governativa e no-profit che promuove e difende la libertà di informazione e la libertà di stampa che coopera con le Nazioni Unite) ha pubblicato il nuovo Indice della libertà di stampa, una classifica che come ogni anno confronta e analizza le condizioni di lavoro per i giornalisti in 180 paesi diversi e che in quest’edizione constata, oltre ad un generale peggioramento della libertà di stampa a livello globale, anche l’introduzione di un nuovo elemento con effetto moltiplicatore: la pandemia.
Al primo posto, anche per il 2020 troviamo la Norvegia, seguita dalla Finlandia e dalla Danimarca. All’ultimo posto la Corea del Nord, che ‘ruba’ la maglia nera al Turkmenistan. L’Italia si classifica al 41esimo posto dietro a Paesi come Ghana, Sud Africa e Burkina Faso.
Sembra impossibile che in un Paese come l’Italia ci siano ancora grossi problemi per chi svolge informazione e limitazioni alla libertà dei giornalisti di esprimere le loro opinioni sui fatti che avvengono normalmente nella nostra società.
Perfino i Padri costituenti, nel 1947, avevano pensato a tutelare questo principio, affermando che uno dei diritti fondamentali di ogni cittadino sia quello di “essere informato correttamente”. Infatti nel redigere la Costituzione che ancora oggi regola il nostro vivere democratico, hanno dedicato un intero articolo, il numero 21 a questo tema. Secondo questo articolo della Costituzione: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure (…)”.
Bisogna anche ricordare che l’Italia, quando venne redatta la Costituzione, usciva da un ventennio in cui la libertà di stampa era stata abolita e i giornali e i giornalisti che non si allineavano con il regime fascista venivano chiusi e perseguitati.
Oggi sembra anacronistico pensare che un giornalista possa avere dei problemi per le proprie opinioni e i propri pensieri, eppure succede ancora oggi, e posso dire che succede anche nelle nostre realtà.
Lo scontro sulla libertà di stampa è spesso collegato alla politica. Non c’è da stupirsi se i politici litigano tanto spesso con i giornalisti. I primi hanno fame e sete di “visibilità” sui giornali, ma spesso la vorrebbero su misura per la comunicazione dei loro discorsi, delle loro azioni, senza che vengano fatte troppe domande o che si approfondiscano le cose: quello che importa è apparire. I giornalisti, invece, per svolgere fedelmente il loro compito, non devono essere interessati a “riempire le pagine” ma avere l’obiettivo di “cercare la verità”.
Meno male che non tutti i politici sono cosi e meno male che non tutti i giornalisti pensano solo a trovare la notizia meno “compromettente” per riempire lo spazio che il direttore gli ha lasciato. Non tengono in conto le “aspirazioni” del politico di turno, si preoccupano di riportare i fatti e scavare nella realtà per farne emergere le verità nascoste.
Oppure, come avviene alla pag.3 del nostro mensile da 20 anni, riportano le proprie opinioni per dare spunto ai lettori di riflettere sulla realtà che li circonda, offrendo punti di vista diversi, che possono far sorgere dubbi e perplessità, ma il cui obiettivo è la formazione di una nuova coscienza civile.
È nella natura delle cose che possano nascere scontri e che comunque questo principio possa non piacere. Penso che una stampa più attenta ai desideri dei politici che al “bene comune” dei propri lettori non farebbe un servizio migliore alla democrazia. Può piacere o meno quello che un giornalista scrive, puoi cercare di zittire questa voce: possono denigrarla, possono boicottarla, possono cercare di chiuderla con le carte bollate, ma anche se piccola questa voce, visto che parte dal profondo del cuore e trae forza dai valori della giustizia e dalla libertà, non si riuscirà a farla tacere.
Albert Camus, nel suo libro “Resistenza, ribellione e morte” del 1961, scriveva a proposito della libertà di stampa: “Una stampa libera può essere buona o cattiva, ma senza libertà, la stampa non potrà mai essere altro che cattiva”.
Questo è quello che continueremo a cercare di fare anche nella nostra piccola realtà: i nostri lettori lo meritano, la democrazia lo merita, anche perché, alla fine “Quello che sei parla più forte di quello che dici” (Ralph Waldo Emerson).