Un fotografo è come uno scrittore, un pittore, un musicista: lascia una traccia di sé, del suo modo di vedere i paesaggi, i soggetti, che non sono mai uguali a come li aveva pensati in origine, ma evolvono negli anni, col passare delle stagioni. Così è evoluto anche lo sguardo di Carlo Avataneo, poirinese di nascita, ma carmagnolese d’adozione, ex insegnante di Lettere alla scuola media e fotografo per passione. Quella passione che l’ha portato lontano, a vincere premi, a realizzare ben 10 libri fotografici, di cui 4 su Carmagnola (l’ultimo in uscita a breve) e 34 calendari, e che ancora oggi gli fa battere il cuore e gli consente di vedere il mondo con occhi sempre nuovi.
Carlo, quando è nata la sua passione per la fotografia?
La mia passione è nata quando ancora ero studente all’Università di Lettere. Ho iniziato a scattare quasi per gioco, durante le gite scolastiche e le passeggiate con gli amici. Un gioco poi diventato molto di più, una vera e propria dedizione alla fotografia, che mi ha portato a scoprire angoli nascosti che prima non conoscevo e ad affinare la mia tecnica. Col tempo, non sono solo cambiato io, ma è cambiato il mio sguardo. Prima di iniziare a scattare guardavo il mondo distrattamente, preso da mille impegni, un po’ come succede a tutti noi. Guardavo senza vedere, o meglio, pensavo di vedere. Oggi ho capito che guardare è una cosa, vedere un’altra; ho imparato ad andare oltre la porta di casa, perché è là fuori che esiste la vera bellezza.
Quali sono i suoi soggetti preferiti?
Non ho un soggetto che prediligo. Li amo tutti in egual maniera: paesaggi naturalistici, rocche e castelli, piazze, vie e monumenti, ma anche manifestazioni cittadine, come possono essere la Fiera del Peperone o la Fiera di Primavera di Carmagnola, i mercatini, le persone che passeggiano per strada, i bambini che giocano in un cortile. E poi i tramonti, la neve in inverno che copre i tetti delle case, le luci degli addobbi natalizi, la nebbia di novembre.
Carmagnola non è la sua città natale. Come ha vissuto il trasferimento da Poirino? E come si è trovato a scattare in un cittadina “straniera”?
Benissimo. Probabilmente è stato proprio il fatto che io non sia nato a Carmagnola, che me l’ha fatta guardare con un occhio diverso. Forse più attento, forse più curioso. Un occhio che aveva “fame” di nuovi angoli, nuovi scorci, da ritrarre. Carmagnola ha moltissimo da offrire. Ha un centro storico di assoluto valore; ha i portici che la caratterizzano e dell’ambientazioni, come il Bosco del Gerbasso e i campi coltivati, da tutelare, perché vanto per una città che conserva ancora il suo aspetto rurale e più “selvaggio”.
Oltre a Carmagnola, quali sono le città che ha fotografato?
Ho fotografato il Piemonte nel suo complesso, i paesaggi del Roero, cui sono molto affezionato, le piccole città e i grandi paesi. Nei miei scatti, cerco sempre di immortalare anche più volte lo stesso luogo, ma in stagioni e ore diverse. È il trascorrere del tempo, il mutare del paesaggio che mi affascina.
Ci parli del suo ultimo libro “Carmagnola”, cosa lo differenzia dagli altri?
Il mio ultimo libro è il frutto di anni di scatti. È un libro fotografico in cui ho voluto, differentemente dagli altri, raccontare la storia di Carmagnola a partire dall’anno 1000, data di nascita della città, fino ad arrivare ai giorni nostri. È una testimonianza che raccoglie un nutrito numero di scatti (148) di Carmagnola, delle sue manifestazioni, dei suoi luoghi simbolo, come l’Abbazia di Casanova, il Palazzo comunale, Casa Cavassa, la Collegiata dei Santi Pietro e Paolo, la Sinagoga, dei suoi borghi, delle sue industrie. Oltre alle ambientazioni, ho voluto includere nel libro anche alcune curiosità prettamente storico-letterarie, tra cui la nascita dell’asteroide Carmagnola, che deve il suo nome a Renato Dominici. È quindi una sorta di percorso in 22 capitoli, con testo bilingue, italiano e inglese, in cui ho svelato una Carmagnola bella e affascinante da ogni prospettiva, al punto che molti amici mi hanno chiesto se era davvero la città che conoscevano. Ebbene sì, Carmagnola ha un’anima, un’identità forte, che va riscoperta e trasmessa anche e soprattutto alle giovani generazioni.
Lei è autore ormai dal lontano 1987 del “Calendario Avataneo”. Perché proprio il Parco Malingri di Bagnolo Piemonte per l’edizione 2020, la 34esima?
Ho scelto il Parco Malingri perché è un luogo magico per le sue fioriture in maggio e i suoi alberi di alto fusto, un tesoro storico e naturalistico per il nostro Piemonte, oltre che parte del circuito Grandi Giardini Italiani. Attualmente è chiuso al pubblico, perché proprietà dei Marchesi Aimaro e Consolata Oreglia d’Isola. Esistono però delle aperture annuali straordinarie, quindi perché non approfittarne?
Venendo alla sua recente esposizione a Bra con “Roero”, come sta andando? È soddisfatto?
Certamente. Ho incontrato e ricevo spesso visite e complimenti. Bra è una cittadina molto affascinante, che conosco da quando i miei figli erano ragazzini. Ho accolto con favore l’invito a esporre i miei scatti a Palazzo Mathis. Si tratta di una mostra che ha già girato l’Italia e che l’anno prossimo sarà a Venaria. Una mostra di 39 fotografie di grande formato, divisa per sale, temi e soggetti (le rocche, i parchi, i paesaggi del vino, le manifestazioni) e che bene riassume i miei anni di ricerca sul Roero, ormai più di trenta.
Cosa si sentirebbe di dire a chi approccia per la prima volta al mondo della fotografia?
Mi sentirei di dire: provateci, guardatevi attorno come se aveste una grande lente, per cogliere anche i particolari più nascosti. Il mondo è bellissimo e ha bisogno di gente appassionata, pronta a valorizzarlo.
Cosa si aspetta dal futuro? Un augurio particolare?
Mi auguro di continuare a scattare. La fotografia è parte di me, della mia vita, è un modo che ho di esprimere la mia visione del mondo. La fotografia è una forma d’arte e l’arte non morirà mai.